Con un titolo tradotto oscenamente, questo è uno dei film che rappresentavano un anno fa la Francia a Cannes. Il cinema francese, che è sicuramente in ripresa, meritava di meglio: ma dietro le selezioni soprattutto nazionali, alla vetrina della Croisette si nascondono sempre mille ragioni che poco hanno da spartire con il valore delle opere.
Il patrigno ha trent'anni, e la figliola quattordici. Detto questo del film, e dell'eventuale scandalo sapete tutto. Perché le immagini del film sono destinate ad una cosa soprattutto: rassicurare il buon pubblico pagante sul fatto che le intenzioni degli autori sono più che oneste. Ne risulta un cinema della vigliaccheria: non solo perché all'avvicinarsi di ogni scena che potrebbe essere scottante il linguaggio cinematografico si fa allusivo (ellissi, tagli di montaggio, eccetera). Ma ancora perché ogni situazione del film vuol farci credere che "in fondo" le cose non sono come potremmo aver pensato all'entrata della sala.
La sceneggiatura concorre naturalmente all'operazione di salvaguardia morale: l'adolescente è orfanella, il patrigno legge i fumetti e quindi pecca di infantilismo, il padre è un ubriacone. Insomma: soltanto in queste condizioni può succedere che tra un trentenne ed una quattordicenne si vada a letto assieme.
La strada del compromesso e dell'ipocrisia conduce poi naturalmente a stravolgere quelle che erano (forse) le intenzioni di Blier: la ragazzina, il mondo dell'adolescenza non solo sono immotivati, ma sono visti con l'occhio, quasi perverso, degli adulti. La colpa è tutta della ragazzina: e lei che inizia e continua la relazione, è lei che si offre sul piatto d'argento tradizionale del voyeurismo maschilista.
In quanto a Patrick Dewaere, c'era da scommetterlo, ripropone per l'ennesima volta l'immagine del poveraccio fallito, debole ma buono: che apparentemente basta ad assicurargli il successo che si ritrova.